per la recensione del volume
di Sara Loffredi
Come si costruisce una strada dove c'è una montagna? Come rinasce un continente devastato dalla guerra e dalla mostruosità della dittatura?
Come si affrontano i propri demoni, i propri fantasmi, i silenzi di una vita vissuta all'ombra di qualcun altro? Sara Loffredi ci racconta l’impresa del traforo del Monte Bianco, distruzione e costruzione, attraverso lo sguardo di Ettore e della sua ingegneria coraggiosa, fatta di calcoli, stregoni, passi lenti ma costanti. Perché la montagna chiede rigore ma anche ascolto, delicatezza, e solo dopo si apre. Così come le relazioni delle nostre vite, ci avviciniamo e ci tocchiamo e poi, magari, è passione e sempre.
Il freddo e l'umidità accompagnano la lettura ma senza disagio. Quello che il corpo sente si sublima. Resta la paura, la tensione all’obiettivo, l’attenzione di chi sa che l’impresa da compiere è, semplicemente, enorme. In tutto questo la complicità è l’ingrediente fondamentale, la corda che traccia la traiettoria. Personaggi realmente esistiti, “Coraggio” sarebbe il loro soprannome, si incrociano con storie di finzione, se finzione si può chiamare la quotidiana lotta con le proprie enormità.
Il fronte di scavo è l'apparente insormontabile, la lenta progressione dentro noi stessi per ritrovare la storia di quello che siamo.