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Premio Giuria dei lettori

La scuola italiana è la palestra ideale in cui si allenano da un trentennio oscuri personaggi politici che mirano a ricoprire cariche istituzionali più “glamour”. Il dibattito si apre e si chiude su questa considerazione un po’ luttuosa che sembra comunque il territorio da caccia grossa alla base del poetico – ma anche rigoroso, arrabbiato – romanzo di Villalta, “Scuola di felicità ”. Professori disincantati e disillusi, come il protagonista narrante, ma anche studenti demotivati, assenti, assorbiti da esistenze interconnesse H24 ma talvolta ancora in grado di percepire qualche urgenza culturale partecipativa. Il mondo è cambiato, la scuola rimane il punto fermo di un passato in cui nessuno cerca più di riconoscersi, e le sfaccettature del confronto aperto tra docenti, studenti e famiglie sono diventate un caos generalizzato dove i ruoli si accavallano e le gerarchie diventano utopie retrodatate.


È finito l’incanto, non ci sono più i presupposti per accompagnare veramente gli adolescenti in un percorso di crescita che li traghetti verso memorie e atteggiamenti responsabili. La scuola è una necessità  ufficiale e poco altro. Lo stesso protagonista si trova a confliggere più con le patologie private dei suoi ragazzi che con le loro eventuali defaillances didattiche, per non parlare dei contrasti con i genitori, ansiosi e prevaricatori quando non arroganti e minacciosi. Bisogna rendere felici i ragazzi, più che istruirli, ed è proprio ciò che mette in atto la nuova preside dell’istituto, che a caccia di consensi e di iscrizioni si propone di razionalizzare la scuola in base a criteri emotivi esasperati, per creare una fantomatica “Scuola della Felicità ” in cui il benessere psicologico diventi lo scopo dell’offerta formativa, non solo un supporto destinato a migliorare le prestazioni.


Proposito surreale, ma d’altronde è surreale il labirinto burocratico in cui i docenti ormai sono imprigionati per motivare – giustificare – le loro sempre più sofferte ore di lezione. E il romanzo cresce e si dipana su questo aspetto sempre più demotivante, dove il rapporto tra adulti e ragazzi diventa solo un duello quotidiano in cui si cerca di sopravvivere. C’è anche una componente “misteriosa”, destinata a offrire spunti per una valutazione a suo modo epocale delle problematiche scolastiche: enigmatici murales apparsi sulle pareti dell’istituto, il rapimento di uno studente da parte di alcuni estremisti di destra, il rapporto poco ortodosso tra il prof. e la madre del ragazzo rapito... Ma ciò che preme a Villalta è senza dubbio descrivere dall’interno una realtà  sociale che cambia, là  dove la parola “formazione” diventa il terreno di confronto dell’intero tessuto sociale, poiché oggi la scuola è il punto di riferimento di uno smarrimento epocale a largo raggio, in cui si trovano a dirimere questioni da lettino di analisi generazioni di adulti e di ragazzi, passando per qualche anima solitaria – come l’io narrante – che spera ancora, forse, di veder rifiorire l’incanto, dove ora le sue lezioni sono diventate – al di là  di una sfida quotidiana - solo il conteggio di un tempo da passare nel modo meno indolore, in attesa di un’ipotesi di felicità  che nessun progetto imposto dall’alto saprà  mai regalare.


Sergio Pent

Gian Mario Villalta | Premio Biella Letteratura Industria
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