Da bambino Giorgio Falco amava la divisa da autista degli autobus, che il padre indossava ogni giorno per andare al lavoro, tanto che a Carnevale voleva vestirsi come lui, anziché da Zorro, chissà se per emularlo o demolirlo. Questo romanzo autobiografico non può che cominciare così, con la storia del padre: solo raccontando l’epopea novecentesca del lavoro come elevazione sociale, come salvezza, Falco ne può testimoniare il graduale disfacimento, attraverso le proprie innumerevoli esperienze professionali, cominciate durante il liceo per pagarsi una vacanza mai fatta. Operaio stagionale in una fabbrica di spillette che raffigurano cantanti pop, il papa e Gesù, per 5 lire al pezzo. Venditore della scopa di saggina nera jugoslava, mentre in Jugoslavia imperversava la guerra. Aspirante imprenditore di un’agenzia che organizza «eventi deprimenti per le élite». Redattore di finte lettere di risposta ai reclami dei clienti. Una lunga catena di lavori iniziati e persi, che lo conduce alla scelta radicale di mantenersi con le scommesse sportive. È la fine, o solo l’inizio. Perché questa è anche la storia – intima, chirurgica, persino comica – di un lento apprendistato per diventare scrittore. E di come possa vivere un uomo incapace di adattarsi.
Si può vivere una vita di lavoro da eterni sconfitti? Si può, come dimostra Giorgio Falco nel suo romanzo autobiografico sui percorsi accidentati attraverso l’universo sommerso delle attività più strampalate, sottopagate e sottostimate, spesso sconosciute. L'emulazione del padre conducente d’autobus diventa un miraggio quando i primi contatti con il mondo produttivo mettono in luce lo spazio minimo che esiste tra una vita dignitosa e una rincorsa quasi programmata verso il fallimento. Non c’è esasperazione, ma solo una virtuosa presa di coscienza nel cercare se stessi attraverso il peggio, come in una sorta di esperimento autoinflitto, dove si fa presto a diventare invisibili e inutili.
La carrellata ironica ma impietosa sui non-lavori svolti dal narratore rivela un mondo fasullo retto sulle debolezze umane, laddove l’individuo non è solo un numero di serie come ai vecchi tempi della grande industrializzazione, ma la pedina di un gioco in cui a vincere sono unicamente quelli che sfruttano paure e sconfitte, senza pietà. Ma se il percorso da scrittore vale tutte queste giravolte nel delirio delle attività più assurde – dalla fabbrica di spillette pop all’universo da schiavismo legalizzato dei call center – allora il gioco di una vita vale davvero – solo in questo caso, ahimè – la candela delle occasioni mancate. O forse solo non cercate, perché anche rincorrere il fallimento può essere un lavoro, un’impresa. Un successo al contrario.
Sergio Pent
Giorgio Falco è nato nel 1967. Ha esordito con Pausa caffè (Sironi 2004); per Einaudi Stile Libero ha pubblicato L'ubicazione del bene (2009) e La gemella H (2014, finalista al Premio Campiello e vincitore, tra gli altri, del Premio SuperMondello, del Premio Volponi e del Premio Lo Straniero).