Si può vivere una vita di lavoro da eterni sconfitti? Si può, come dimostra Giorgio Falco nel suo romanzo autobiografico sui percorsi accidentati attraverso l’universo sommerso delle attività più strampalate, sottopagate e sottostimate, spesso sconosciute. L'emulazione del padre conducente d’autobus diventa un miraggio quando i primi contatti con il mondo produttivo mettono in luce lo spazio minimo che esiste tra una vita dignitosa e una rincorsa quasi programmata verso il fallimento. Non c’è esasperazione, ma solo una virtuosa presa di coscienza nel cercare se stessi attraverso il peggio, come in una sorta di esperimento autoinflitto, dove si fa presto a diventare invisibili e inutili.
La carrellata ironica ma impietosa sui non-lavori svolti dal narratore rivela un mondo fasullo retto sulle debolezze umane, laddove l’individuo non è solo un numero di serie come ai vecchi tempi della grande industrializzazione, ma la pedina di un gioco in cui a vincere sono unicamente quelli che sfruttano paure e sconfitte, senza pietà . Ma se il percorso da scrittore vale tutte queste giravolte nel delirio delle attività più assurde – dalla fabbrica di spillette pop all’universo da schiavismo legalizzato dei call center – allora il gioco di una vita vale davvero – solo in questo caso, ahimè – la candela delle occasioni mancate. O forse solo non cercate, perché anche rincorrere il fallimento può essere un lavoro, un’impresa. Un successo al contrario.
Sergio Pent
Giorgio Falco è nato nel 1967. Ha esordito con Pausa caffè (Sironi 2004); per Einaudi Stile Libero ha pubblicato L'ubicazione del bene (2009) e La gemella H (2014, finalista al Premio Campiello e vincitore, tra gli altri, del Premio SuperMondello, del Premio Volponi e del Premio Lo Straniero).